Il cammino del penitente by Susana Fortes

Il cammino del penitente by Susana Fortes

autore:Susana Fortes [Fortes, Susana]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788842919483
editore: Nord
pubblicato: 2011-12-31T23:00:00+00:00


13

«Ti hanno conciato per le feste», disse Arias, lanciando al commissario uno sguardo indagatore.

Castro non aveva una bella cera. Del resto, con quell'ombra di barba e il pigiama verde dell'ospedale, chiunque sarebbe sembrato un moribondo. Senza nemmeno togliersi il cappotto, il medico legale si sedette sul bordo del letto e gli lesse il foglio di ricovero, in cui si diceva che il paziente era entrato in ospedale alle 20.15 del giorno precedente, con una ferita di quattro centimetri alla tempia e i sintomi di una commozione cerebrale: mal di testa, sonnolenza, stato confusionale e lentezza di riflessi. Presentava inoltre una frattura al primo osso metatarsale sinistro, fortunatamente senza lussazione, particolare che escludeva la necessità di un intervento. La risonanza magnetica alla quale era stato sottoposto non aveva evidenziato anomalie neurologiche degne di nota, ma il protocollo raccomandava che rimanesse almeno ventiquattro ore sotto osservazione.

«Stiamo freschi», biascicò il commissario, mettendosi a sedere, con la faccia scura. Sembrava davvero furioso.

«Piano… cos'è tutta 'sta fretta? Da qui non ti muovi se non ti dimettono», lo riprese il medico, cercando di farlo sdraiare di nuovo.

«Stai scherzando? Io me ne vado, e subito. Dove sono i miei vestiti?» ribatté Castro, guardandolo in cagnesco.

Con un sopracciglio inarcato e una smorfia ironica sul viso, Arias si alzò e si avvicinò alla finestra, scostò la tenda e guardò fuori, rassegnato. La pioggia cadeva lenta e fitta. «A volte mi dimentico che sei di Corcubión», disse all'amico; la testardaggine della gente di quella zona era infatti proverbiale. «Lì c'è della roba pulita», aggiunse poi, indicando una borsa del Corte Inglés accanto al comodino. Lo conosceva abbastanza da sapere che non sarebbero riusciti a trattenerlo in ospedale nemmeno con una camicia di forza.

A Castro sfuggì una delle sue risatine storte e aspre. Mostrava i denti come un cane smunto, che sa essere tanto tenero coi suoi cuccioli quanto spietato coi nemici, se serve. Una di quelle risate che ti mettono sul chi vive.

Alle nove e mezzo, una giovane infermiera entrò nella stanza col foglio delle dimissioni volontarie che Castro, in crisi di astinenza da lavoro, si affrettò a firmare, sotto gli occhi adoranti della ragazza. Non si poteva dire che il commissario fosse un bell'uomo; i lineamenti, in particolare il profilo, erano grezzi, e i tratti eccessivamente duri, eppure le donne gli cadevano ai piedi anche quando, come in quel momento, non era in gran forma.

«Che figlio di…» commentò il medico legale, strizzandogli un occhio.

L'infermiera gli applicò un tutore al piede, gli porse un paio di stampelle e se ne andò rivolgendogli un sorriso smagliante. Mezz'ora più tardi, Castro usciva dall'ospedale zoppicando, puntellandosi sul piede sano. Arias gli aprì la portiera del taxi che lo avrebbe riportato in commissariato, in plaza Rodrigo de Padrón, affrontando il traffico infernale di un venerdì di pioggia all'ora di punta.

Un tempo, quel vecchio palazzo era la caserma della Guardia Civil, e manteneva quell'aria imponente e un po' cupa degli edifici militari, anche se all'interno era stato completamente ristrutturato. Quando fu di nuovo nel proprio ufficio, Castro sorrise, soddisfatto.



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